Non esistono contributi straordinari, ma tutti dovranno fare uno sforzo. “Non è corretto parlare di extraprofitti, si andrà a tassare i profitti a chi li ha fatti”, dice Giancarlo Giorgetti, “Esiste l’articolo 53 della Costituzione che prevede che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. E siccome l’Italia intende riportare il deficit entro il 3% già nel 2026, il ministro dell’Economia, intervistato da Bloomberg, ha spiegato che sacrifici saranno richiesti un po’ a tutti. Parole accolte in Borsa con il segno meno, nel timore di più tasse. Milano ha allargato le perdite, appesantita tra le altre dalle banche (Fineco e Mps tra le peggiori), anche quest’anno tirate in ballo per contribuire ai conti pubblici.
Chi sono questi tutti di cui parla Giorgetti? I settori che più hanno beneficiato delle condizioni di mercato facendo utili. Quindi banche, già messe nel mirino dodici mesi fa, per poi rivedere la norma e con le quali si sta oggi dialogando, ma anche assicurazioni e industria della Difesa. “Non ci sarà più la narrativa come in passato sugli extra-profitti bancari dal momento che in quel momento le banche facevano più profitti. Paradossalmente, oggi l’industria di chi produce armi, con tutte queste guerre, va particolarmente bene, è una situazione di mercato favorevole che produce utili superiori”, ha detto il ministro che ha concluso: “Sono convinto che alla fine troveremo una situazione equilibrata”.
I tecnici del Mef sono al lavoro per capire come gli sforzi richiesti prenderanno forma. Un anno fa l’idea di muoversi d’imperio sul mondo del credito fu alla fine annacquata nella possibilità concessa agli istituti di mettere a riserva il doppio di quanto dovuto come extra al Fisco. Quest’anno le proposte su cui si ragiona con il mondo bancario sono di fatto due, entrambe all’insegna delle scelte condivise e che alla fine dovrebbero fornire liquidità immediata allo Stato.
Una è agire sulle imposte differite, l’altra, emersa in questi giorni, è colpire i programmi di incentivazione dei grandi manager. Una misura ad effetto, che punta ai vertici, ai presidenti, agli amministratori delegati e ai consigli d’amministrazione, ma i cui risultati rischiano di essere pochi. Nel ventaglio di ipotesi su come costruire il contributo di solidarietà richiesto alle banche spunta l’idea di intervenire sulle le stock options, ossia sulle azioni assegnate come parte della remunerazione. Oggi gli istituti hanno la possibilità di portarli in deduzione, spalmandoli su un orizzonte di tre o cinque anni. La proposta sulla quale si sta ragionando anche l’Abi, l’associazione che riunisce la banche italiane, è di concentrare la deduzione tutta sull’ultimo anno, alla fine del piano di incentivazioni. In questo modo, negli anni precedenti gli istituti pagherebbero più tasse recuperando più avanti il beneficio. “Ci possono esser alcuni modi in cui contribuire alla situazione del debito pubblico senza avere impatti sui conti delle società”, come ad esempio lavorare sulle attività fiscali differite, fornire dei flussi di cassa al settore pubblico”, ha ricordato il numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina.
Le stime per il solo settore bancario di interventi in questo senso sono di circa 1 o 2 miliardi d’incasso. “Non ci aspettiamo che le manovre allo studio abbiano impatti rilevanti per il settore”, è il commento degli analisti di Equita. “Dal punto di vista delle casse dello Stato sarebbe un bluff poiché l’impatto sul gettito sarebbe irrisorio”, aggiungono gli esperti il Centro studi di Unimpresa. La soluzione, aggiungono, potrebbe essere agire, sull’addizionale Irpef che grava sui premi azionari. “Si tratta di un balzello aggiuntivo introdotto con un decreto legge nel 2010 dal governo di Silvio Berlusconi, oggi fissato al 10%, che scatta quando il premio intascato supera la parte fissa della retribuzione”, continua Unimpresa, “L’operazione non peserebbe sui bilanci delle banche, ma sarebbe a carico dei dirigenti bancari che liquideranno le azioni nei prossimi mesi. I quali, però, considerando i corsi azionari, con le quotazioni che sono schizzate, non si accorgeranno più di tanto della manina del fisco più pesante del solito”. Intervenire sui soli banchieri è complicato. La norme dovrebbe passare il parere della Banca centrale europea, che vigila sugli istituti maggiori, esattamente quelli che hanno fatto maggiori utili.
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