Cerro
Maddalena Ballan e Massimiliano Iunco si sono trasferiti con i figli e hanno aperto un B&B. «Abbiamo trovato il nostro sentiero nella natura»
Maddalena Ballan e Massimiliano Iunco con la figlia Greta e il cane Giotto davanti alla loro casa al Cerro (foto Pecora)
Una casetta di trecento anni in una contrada al limitare del bosco. Una strada che si fa sterrata e sempre più sottile, fino a diventare sentiero fra gli alberi. Gli scoiattoli in giardino, le volpi furtive. I caprioli che passano davanti alla porta, puntuali, prima dell’alba. Tramonti spettacolari, notti illuminate solo dalle stelle. «Cercare il nostro “sentiero” è stata la spinta che ci ha fatto abbandonare la città per venire ad abitare quassù, in Lessinia, in un luogo dove siamo gli unici residenti fissi. Il sentiero, quello reale, parte dietro casa nostra ed entra nel bosco. E il sentiero metafisico della vita ci ha condotti qui per vivere in modo più naturale e meno frenetico», racconta Maddalena Ballan, 47 anni. «Non potevamo che chiamarlo così, Il Sentiero, il nostro piccolo bed&breakfast, dove vengono persone da tutto il mondo, in cerca di verde, bellezza e silenzio».
Lei, suo marito Massimiliano Iunco, 46 anni, e i loro due figli si sono trasferiti, due anni fa, in contrada Giusi di Cerro, a un chilometro dal paese. Un pugno di case che, ad eccezione della loro, sono abitate solo qualche settimana in estate: rifugi contro l’afa cittadina. «Dopo due anni di ricerche, quando abbiamo visto questo posto, ci siamo subito innamorati. Rispondeva all’esigenza, che sentivamo sempre più forte, di avvicinarci alla natura, godere di ampi spazi e riappropriarci di ritmi più “umani”. Lo volevamo anche per nostro figlio e nostra figlia, l’uno alle superiori e l’altra alle medie, in quell’età in cui tutto rischia di diventare virtuale. Per ottenere questi benefici», proseguono i coniugi, «eravamo ben felici di abbandonare le comodità cittadine, e consapevoli di doverci mettere in gioco, facendo anche rinunce… È difficile, sì», ammettono, «ma non impossibile».
Massimiliano è idraulico e ha potuto mantenere la sua professione. Maddalena aveva lavorato per vent’anni in un ingrosso per gioiellerie; poi mamma a tempo pieno quando i figli erano piccoli. «Quindi, di nuovo, ho fatto i lavori più disparati purché si conciliassero con la famiglia», prosegue lei. «Quando i ragazzi sono cresciuti, ci siamo detti che era l’ora di inseguire il nostro sogno». Maddalena ha aperto il b&b «in stile anglosassone: gli ospiti soggiornano in una stanza di casa nostra. Vivono la quotidianità domestica. A me piace far scoprire le bellezze del territorio e i prodotti tipici. Soprattutto gli stranieri lo apprezzano molto più di un freddo check-in. L’attività è giovane e non copre tutto l’anno; ma come partenza va bene così».
Com’è trasferirsi in una contrada montana, al di là delle idealizzazioni? «Bello e difficile. Ci si spoglia di molti falsi bisogni e desideri inutili. Però è fuori dubbio che alcune voci del bilancio familiare aumentano: il riscaldamento, il cibo, il trasporto». E i figli? «Ci sono famiglie della montagna che scendono a valle perché i figli adolescenti vogliono una vita meno isolata. Noi», dicono i coniugi, «abbiamo fatto il percorso contrario, con il loro benestare. Un cambiamento importante, li abbiamo coinvolti in tutte le decisioni. Vanno a scuola e conservano la socialità; ma trascorrono anche molto tempo all’aria aperta con noi. Sanno muoversi nella natura e la amano. Certo, la differenza c’è: non passiamo la domenica al centro commerciale; è più probabile che la passiamo qui a spaccare la legna».
I problemi più grossi che la famiglia si trova ad affrontare, in realtà, sono altri. Ed è un appello quello che Maddalena e Massimiliano lanciano: «La Lessinia sta vivendo una rinascita. Ogni anno, sempre nuovi nuclei familiari scelgono di trasferirsi su. Però, le contrade soffrono ancora l’abbandono e la trascuratezza. Qui, per esempio, ad ogni acquazzone, il sentiero del bosco scarica nella contrada acqua, fango e detriti, che spaliamo perché non invadano la nostra proprietà. La strada sterrata si riempie di buche e, nonostante sia pubblica, spesso siamo noi a rattopparla».
«Ci prendiamo cura di ciò che riusciamo. L’avevamo messo in conto», proseguono. «Ma non abbiamo le forze per ripristinare gli effetti di un abbandono totale. Una volta le contrade erano abitate: il Comune, come oggi, non poteva arrivare dappertutto, perciò – ci raccontano gli anziani – la gente del posto si metteva in gruppo e faceva le manutenzioni da sé. Ora invece siamo soli». «Questo non è per fare polemica. Crediamo che chi abita qui, coloro che vengono a far rifiorire contrade abbandonate, debba essere ascoltato. E per quanto possibile, aiutato». «Invitiamo a venirci a trovare chiunque desideri conoscere da vicino la vita di montagna. E alle istituzioni diciamo: curate le terre alte per farle vivere».
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