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Agenzia delle Entrate. Fisco in confusione alla ricerca degli obiettivi di fine anno #finsubito prestito immediato


Uffici delle Entrate in difficoltà a causa della carenza di personale, con il rischio di emettere atti con cifre spropositate e impossibili da pagare.

Francofonte, 20 ottobre 2024. Ogni fine anno, per gli uffici dell’agenzia delle Entrate, è una corsa affannosa contro il tempo, per il cosiddetto raggiungimento degli obiettivi in tema di controlli e accertamenti. Il “guaio” è che gli uffici sono in difficoltà per carenza di personale e il rischio è che, in alcuni casi, possano emettere atti con cifre spropositate e impossibili da pagare. A fine anno 2024 scade il termine per la notifica degli accertamenti relativi al periodo d’imposta 2018, in presenza di dichiarazioni annuali dei redditi, dell’Iva e dell’Irap, regolarmente presentate nel 2019. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, l’accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione si sarebbe dovuta presentare. In questo modo, per l’ufficio, per la dichiarazione “omessa” relativa al 2016, che si doveva presentare nel 2017, l’accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre 2024.

Il Fisco invita ad emettere accertamenti nei termini. La scadenza di fine anno 2024 dovrebbe essere rispettata dagli uffici dell’agenzia delle Entrate, per gli accertamenti in scadenza ordinaria al 31 dicembre 2024, senza cioè differire il termine per la cosiddetta proroga di 85 giorni, causa Covid. Peraltro, la proroga di 85 giorni è stata cancellata a seguito dei chiarimenti forniti dall’agenzia delle Entrate di Roma, che invita gli uffici a non considerarla più. I chiarimenti dell’agenzia delle Entrate si sono resi necessari a seguito dell’atto di indirizzo del 29 febbraio 2024, a firma del vice ministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo e del capo dipartimento delle Finanze Giovanni Spalletta.
Per l’agenzia delle Entrate, gli uffici devono programmare le attività di controllo in modo da attivare e concludere i procedimenti impositivi entro i termini “ordinari” di decadenza, evitando di avvalersi dei differimenti previsti dalla norma vigente. Il “guaio” è che queste indicazioni sono state fornite dall’agenzia delle Entrate dopo il 10 marzo 2024, cioè dopo che gli uffici, ritenendo di potere beneficiare della proroga di 85 giorni, avevano individuato come termine di scadenza per gli accertamenti, che erano in scadenza ordinaria al 31 dicembre 2023, la data del 25 marzo 2024. In questo modo, il Fisco rischia di non incassare nulla, perdere inutilmente tempo, oltre ad essere costretto a pagare le spese di giudizio. Per evitare tutto questo, sarebbe auspicabile un intervento dell’agenzia delle Entrate, direzione centrale di Roma, che invita gli uffici ad abbandonare il contenzioso pendente in materia.

Accertamenti in fumo se il Fisco non prova l’evasione. E’ grave il fatto che il Fisco accerti 100 e incassi meno dello 0,4%. Su 93miliardi di euro contestati, infatti, l’erario ha incassato 370milioni, appena lo 0,4 per cento degli importi accertati. Per rendere meglio l’idea, è come se, ad esempio, su 500mila euro di evasione accertata dal Fisco, pari a circa un miliardo delle vecchie lire, l’erario incassa meno di 2mila euro, cioè meno di 4milioni delle vecchie lire! E’ questo che, impietosamente, risulta da uno degli ultimi rapporti del 2017 della Corte dei Conti che ha fornito i dati del contenzioso tributario e gli incassi dell’erario nel periodo 2011 – 2016. Inoltre, il 48% delle imposte accertate nello stesso periodo non è stato né pagato, né contestato dai contribuenti, che nemmeno hanno proposto ricorso. Al riguardo, si veda l’articolo “Accertamenti fiscali a perdere”, pubblicato su Italia Oggi del 27 giugno 2017. Con l’aggravante che, dopo il 2017, la situazione è peggiorata.

Il Fisco deve “provare” l’evasione accertata. Per i giudici tributari, devono essere annullati gli accertamenti dell’agenzia delle Entrate emessi sulla base di semplici presunzioni. Gli uffici, per evitare la prosecuzione di contenziosi inutili, dispendiosi e senza alcun incasso per l’erario, devono tenere conto delle novità in materia di onere della prova, introdotte dall’articolo 6 della legge di riforma della giustizia tributaria del 31 agosto 2022, n.130, che ha inserito il comma 5 – bis, all’interno dell’articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546. La norma, cui va riconosciuto il carattere di ius superveniens, cioè di diritto sopravvenuto favorevole per il contribuente, in vigore dal 16 settembre 2022, applicabile anche per i procedimenti in corso, pone ex lege l’onere della prova a carico del Fisco.
Gli uffici non devono emettere accertamenti basati esclusivamente su presunzioni cervellotiche e inconsistenti. La recente evoluzione giurisprudenziale in materia è univoca e consolidata nel bocciare gli accertamenti dell’ufficio, emessi in mancanza di qualsiasi prova della presunta evasione accertata. In questo modo, rischiano di andare in “fumo” molti accertamenti degli ultimi anni basati su presunzioni, senza prove sufficienti a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni da parte degli uffici. Tra i casi più frequenti, si citano le indagini finanziarie, cosiddetti controlli bancari, con l’ufficio che erroneamente considera “fittizi” i conti dei soci di società di persone o di società a responsabilità limitata a base ristretta azionaria. Sono anche frequenti gli accertamenti emessi da alcuni uffici che, pur in presenza di scoperture sui conti bancari, emettono accertamenti di centinaia di migliaia di euro, chiedendo al contribuente di fornire una prova contraria impossibile, tale da configurare una vera e propria “probatio diabolica”.

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Il Fisco deve “provare” l’evasione accertata. Fino a quando c’era il cosiddetto segreto bancario, salvo particolari eccezioni, gli uffici non potevano accedere ai conti bancari dei contribuenti. Una modifica sostanziale in proposito è intervenuta con l’articolo 18 della legge 413 del 30 dicembre 1991, in vigore dal primo gennaio 1992. Un’altra importante modifica è quella apportata agli articoli 32, del decreto sull’accertamento, D. P. R. 600/1973, e 51 del decreto Iva, D. P. R. 633/1972, dalla legge 311/2004, Finanziaria 2005, che, in pratica, consente l’accesso ai conti bancari dei contribuenti in “odore di evasione”. Perciò, quando non si potevano fare i controlli bancari, vietati dal segreto bancario, gli uffici si lamentavano perché, a loro dire, non potevano scovare gli evasori. Da quando, invece, è possibile fare i controlli bancari, alcuni verificatori della Finanza e certi uffici si inventano evasioni cervellotiche, inesistenti e fuori dal mondo reale, senza però fornire alcuna prova dei presunti redditi accertati. Per essere valido l’accertamento del Fisco, l’ufficio deve provare i fatti costitutivi della pretesa fiscale, valorizzando, ad esempio, strumenti, quali le indagini di natura finanziaria o patrimoniale, dalle quali emerga materia imponibile sottratta ad imposizione (a titolo esemplificativo, versamenti ingiustificati) che possano provare i presunti incassi accertati. In alcuni casi, invece, gli uffici, senza alcuna prova, in dispregio alle più elementari regole aritmetiche e in contrasto con la realtà, si inventano centinaia di migliaia di euro di evasione. La sensazione è che, con l’ingresso dell’euro, si sia perso il senso della misura, non riuscendo a capire in pieno la differenza tra la nuova moneta e la vecchia lira. Infatti, si “scoprono” inesistenti evasioni di centinaia di migliaia di euro, senza pensare che, ad esempio, 500mila euro non sono 500 mila lire, ma circa un miliardo delle vecchie lire e senza “provare” nulla della presunta evasione.

Il Fisco è “amico” a parole, ma nei fatti è “nemico”. Con la confusione fiscale di questi tempi, ormai arrivata a livelli insostenibili ed intollerabili, alcuni uffici, per raggiungere gli obiettivi in tema di accertamento, controlli, verifiche ed altro, approfittano di qualsiasi errore del contribuente, anche se in contrasto con le promesse più volte fatte dai vertici dell’agenzia delle Entrate che parlano di un Fisco amico e leale. Belle parole, ma nei fatti non è così. Ci vuole più lealtà e collaborazione, solo così si potrà sperare in un Fisco amico e contribuenti in buona fede, con l’obiettivo di eliminare la grande confusione fiscale che sta soffocando tutti, uffici dell’agenzia delle Entrate compresi. Come sempre, a beneficiarne sono i veri evasori. E poi si continua a parlare di “lotta all’evasione”, che, al pari dell’autotutela, appartiene al passato. In questa grande confusione fiscale, sicuramente una delle peggiori degli ultimi 20 anni, succede che, alle richieste dei cittadini, spesso gli uffici restano in silenzio. Silenzio che, per i contribuenti, è peggio di una risposta negativa.

Passare da uno stato di paura ad uno di certezza del diritto e fiducia. La gente è stanca di sentire annunciare continue “semplificazioni” che, alla prova dei fatti, sono nuove complicazioni. I contribuenti, anzi i “Cittadini” meritano più rispetto ed un sistema fiscale che generi certezze, non paure, ansie e panico, come quello degli ultimi anni. Anche l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nell’illustrare le linee guida davanti alla Commissione Finanze del Senato, il 17 luglio 2018, ha affermato che è <<doveroso passare da uno stato di paura nei confronti dell’amministrazione finanziaria a uno stato di certezza del diritto e fiducia>>. I principi guida devono essere quelli di buona fede e reciproca collaborazione, ricordandosi che l’autotutela esiste, non è una specie di optional e l’ufficio emittente non può decidere a suo piacimento se correggere o no i propri errori. E’ noto che, applicando doverosamente l’istituto dell’autotutela, l’ufficio emittente deve, appena possibile, annullare l’atto illegittimo. L’autotutela, in caso di errore dell’ufficio, non è un optional ma è obbligatoriae non vi è spazio alla mera discrezionalità poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell’arbitrio, in palese contrasto con l’imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono informare l’attività dei funzionari pubblici. Tutti i cittadini meritano rispetto! Gli uffici, quando sbagliano e colpiscono ingiustamente un cittadino onesto, devono ricordarsi delle norme sull’autotutela, che consentono di annullare gli atti sbagliati. Insomma, l’atto illegittimo deve essere annullato senza discrezionalità e in tempi brevi. In alcuni casi, purtroppo, le istanze in autotutela presentate dai contribuenti, a causa della cronica carenza di personale dell’agenzia delle Entrate, restano “lettera morta” con la conseguenza di aumentare il contenzioso. Questo perché, evidentemente, gli uffici non hanno tempo per ascoltare i cittadini, in quanto sono troppo impegnati al raggiungimento degli obiettivi di controlli, accertamenti, verifiche, contenzioso e statistiche varie, dimenticandosi, però, che tra questi obiettivi è escluso quello di fare fallire i contribuenti o disturbare le persone perbene.

Mimma Cocciufa eTonino MorinaEsperti fiscali del Sole 24 – Ore



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