La legge di Bilancio prevede un importante bonus mamme destinato alle lavoratrici madri, con l’obiettivo di sostenerle nel conciliare carriera e maternità. Questo contributo offre un esonero contributivo completo per le madri di tre o più figli fino ai 18 anni del figlio minore e, in via sperimentale, per le madri con due figli fino ai 10 anni del più piccolo.
La legge stabilisce un limite massimo annuo di 3.000 euro, suddiviso in un importo mensile fino a 250 euro. Non si tratta di un aumento diretto di stipendio, bensì di una somma che le lavoratrici possono vedere direttamente in busta paga grazie all’esonero dai contributi.
Un’iniziativa importante, ma con esclusioni ingiuste dal bonus
Nonostante il bonus mamme rappresenti un passo significativo per incentivare la natalità e sostenere le famiglie in una fase di calo demografico, la misura esclude alcune categorie di lavoratrici che avrebbero ugualmente bisogno di supporto. Il bonus mamme si applica esclusivamente a chi ha un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, escludendo quindi le madri con contratto a termine o che svolgono altre forme di lavoro precario.
Questa distinzione lascia fuori un numero considerevole di donne che, pur essendo madri, non rientrano nella categoria prevista dalla legge, una discriminazione che risulta ancor più grave considerando che molte di queste lavoratrici hanno figli piccoli e non dispongono di uno stipendio fisso.
Il caso delle docenti precari e l’ingiustizia della misura
Il settore dell’istruzione, composto in gran parte da personale femminile, si distingue per la presenza significativa di insegnanti con contratti a tempo determinato. Molte di loro sono madri di bambini piccoli, ma il bonus mamme le esclude, creando una disparità che penalizza proprio chi, per ragioni economiche e familiari, avrebbe un maggior bisogno di supporto.
Tale discriminazione sembra ancor più ingiustificata alla luce del fatto che queste lavoratrici precarie affrontano situazioni lavorative meno sicure e tutele limitate rispetto alle loro colleghe con contratti a tempo indeterminato. Concedere loro il bonus sarebbe una scelta equa, volta a garantire il principio di uguaglianza, soprattutto nei settori come la scuola, dove la presenza di donne è predominante.
La Consulta si esprime sull’esclusione delle mamme precari dal bonus
Recentemente, il Tribunale di Milano ha deciso di portare la questione all’attenzione della Corte Costituzionale, evidenziando una potenziale violazione dei principi di uguaglianza e tutela della famiglia. La richiesta di chiarimenti evidenzia come il bonus mamme potrebbe violare l’articolo 3 della Costituzione, che garantisce l’uguaglianza tra i cittadini, e l’articolo 31, che sancisce la protezione della famiglia.
Inoltre, la misura potrebbe non essere in linea con l’articolo 117 della Costituzione, che integra l’accordo quadro europeo sui contratti a termine, volto a evitare discriminazioni tra lavoratori. La Corte Costituzionale ora si trova chiamata a valutare l’equità di questa misura, considerando se tale esclusione si ponga in contrasto con i principi di pari opportunità e di sostegno alla famiglia, penalizzando le lavoratrici precarie nel momento di massimo bisogno.
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