L’ultima manovra finanziaria ha sottratto 4,5 miliardi di euro precedentemente destinati al “fondo automotive” riducendo la somma disponibile a poco più di un miliardo di euro. Con il taglio verranno probabilmente sacrificati gli incentivi al settore auto che una settimana fa sono stati oggetto di un dibattito tra l’ad di Stellantis e l’Esecutivo. La priorità, anche finanziaria, si sposta invece sul settore della difesa con investimenti in crescita per il prossimo decennio.
Questa coincidenza è emblematica del nuovo corso italiano e europeo. Il conflitto con la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina, costringe l’Europa a puntare sulla difesa in uno scenario economico complicato. L’energia è diventata una risorsa scarsa e cara, i conflitti commerciali e le politiche fiscali altrui spingono l’inflazione e i tassi di interesse nel lungo periodo; la transizione energetica richiede investimenti colossali e nel breve medio periodo acuisce i problemi. La “soluzione” del Rapporto Draghi è un incremento degli investimenti pubblici e dei debiti senza precedenti che al momento non ha grande supporto politico in Europa. Anche se l’avesse si porrebbe il problema di come affrontare le conseguenze di un piano di questo tipo sull’inflazione e sui tassi di interesse.
Oggi i Governi stretti tra una situazione economica complicata, maggiori necessità di spesa fiscale per i ceti meno abbienti e le richieste della difesa si trovano nella condizione di dover tagliare. La spesa fiscale altrui, soprattutto americana, e le tensioni geopolitiche creano uno scenario favorevole a fiammate inflattive. Nessuno, quindi, vuole farsi trovare impreparato in un quadro in cui debiti e deficit, e magari i prezzi, possono tornare al centro delle preoccupazioni. Chi non ha flessibilità energetica o geopolitica deve fare delle scelte.
Il settore della difesa può sicuramente “creare occupazione”, ma a differenza del settore auto non aumenta la disponibilità di macchine ma quella di carri armati piuttosto che di fregate. Il risultato è che ci sarà abbondanza dei secondi e scarsità di automobili. Non tutti gli investimenti sono uguali, non tanto per l’occupazione, quanto per il risultato che determinano sul benessere generale. Questo è il grande equivoco in cui si rischia di incorrere se ci si ferma agli “investimenti” senza chiedersi quali siano i costi e quali risultati. Sono domande che si devono porre anche quando “paga il Governo”; anche nell’ipotesi in cui nessuno si preoccupi di debito e di deficit gli investimenti in un settore sottraggono risorse e materie dagli altri. Questo è vero in un orizzonte temporale che, a seconda dei settori, può essere anche molto lungo.
La retorica degli “investimenti” svincolati da qualsiasi analisi costi-benefici è pericolosa tanto più in un quadro di risorse scarse.
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