I canoni di locazione non riscossi entrano nella dichiarazione dei redditi del contribuente. Ed è necessario pagare le relative imposte anche se, pragmaticamente, non sono stati incassati i relativi importi. A fare il punto della situazione sulle eventuali mensilità non percepite ci ha pensato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27750 del 2024.
I giudici hanno preso posizione a seguito di un caso concreto: l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento attraverso il quale recuperare – ai fini dell’imposizione Irpef – il maggior reddito non dichiarato da un contribuente, che non aveva indicato nella dichiarazione alcuni redditi da locazione.
Canoni di locazione non percepiti, si pagano le tasse lo stesso
Il contribuente aveva deciso unilateralmente di non inserire i canoni di locazione nella dichiarazione dei redditi perché l’inquilino era moroso. Aveva, quindi, deciso di proporre ricorso presso la competente Commissione tributaria provinciale, la quale decideva di rigettare il ricorso sostenendo che la morosità del conduttore non fosse sufficiente ad esonerare il proprietario dal dichiarare i canoni di locazione.
La commissione tributaria regionale, però, accoglieva il ricorso del contribuente, sottolineando che il proprietario dell’immobile aveva agito per ottenere la risoluzione del contratto, ma nel frattempo l’inquilino – che era una società – ha fallito. Circostanza che esclude la possibilità che i canoni di locazione siano stati corrisposti in un momento successivo. Nel 2009, anno nel quale si svolge la vicenda, l’affitto non poteva, quindi, concorrere a determinare la base imponibile del contribuente.
La Cassazione è di parere opposto
L’Agenzia delle Entrate, però, non si è arresa. Ha richiamato l’orientamento prevalente della Suprema Corte, secondo il quale la semplice morosità di un inquilino non è sufficiente ad impedire l’assoggettamento dei canoni non pagati all’imposta sui redditi. Almeno fino a quando non interviene una pronuncia giurisdizionale attraverso la quale venga dichiarato risolto il contratto. O, in alternativa, venga registrato l’atto risolutivo del contratto di locazione.
In altre parole, l’Agenzia delle Entrate ritiene che, almeno fino a quando il contratto rimane valido, il conduttore – anche quando diventa moroso – sia tenuto al versamento dei canoni di locazione. Questi concorrono a formare il reddito del proprietario, indipendentemente dal fatto che siano stati riscossi o meno.
La Corte di Cassazione ha deciso di accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Secondo il recente orientamento giurisprudenziale, il reddito che deriva dagli immobili locati per fini diversi rispetto a quelli abitati – per i quali, invece, è prevista una specifica deroga, che è stata introdotta attraverso l’articolo 8 della Legge n. 431/1998 – viene associato direttamente al reddito locativo, dal momento stesso in cui prende forma il contratto. Nel caso in cui il contribuente non dovesse percepire delle mensilità, dovrà pagare le tasse anche su quella quota fino a quando non interviene la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto. Il criterio attraverso il quale il reddito viene tassato è dato dalla semplice titolarità del reddito reale, indipendentemente dal fatto che i canoni di locazione siano stati percepiti effettivamente.
La decisione di applicare l’articolo 26 del Tuir al caso analizzato non determina un’interpretazione non conforme alla Costituzione. Questo perché, come ha già osservato la giurisprudenza costituzionale, la capacità contributiva è collegata direttamente al presupposto economico al quale le imposte sono collegate e può essere ricavata da un qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, seguendo le valutazioni che sono riservate al legislatore, fatto salvo l’eventuale controllo di costituzionalità (in questo è importante confrontare la sentenza 362/2000 della corte Costituzionale).
La Consulta, inoltre, ha chiarito che il sistema – attraverso il quale si fa riferimento per determinare i redditi che derivano da un contratto di locazione – risulta essere eccezionale e deve essere armonizzato ad un contesto più ampio nel quale vige la regola seconda la quale i redditi fondiari contribuiscono a formare il reddito complessivo di un determinato soggetto, indipendentemente dal fatto che abbia realmente percepito qualsiasi tipo di somma.
Come vanno gestiti i canoni di locazione
Ma torniamo un attimo al caso preso in esame. I locali dati in affitto sono a fini commerciali e dovevano essere inseriti nella dichiarazione dei redditi i canoni di locazione non percepiti nel corso del 2019. Solo e soltanto a seguito di un provvedimento giurisdizionale – una convalida di sfratto o una sentenza che dichiari nullo il contratto, che è intervenuta, nel caso preso in esame, solo nel 2010 – o dopo la registrazione della risoluzione del contratto, i canoni di locazione non sono soggetti a delle imposte. A questo punto gli immobili sono sottoposti alla consueta tassazione catastale.
La Corte Costituzionale, a questo punto, va oltre, e analizza alcuni aspetti relativi all’imposta di registro. Stando a quanto viene indicato dagli articoli 3 e 17 del Dpr n. 131/1986, il loro compito è quello di individuare gli eventi successivi alla conclusione del contratto, che devono essere registrati.
A dover essere sottoposto a questa procedura vi è anche la risoluzione, che deve essere registrata entro un termine fisso, anche quando è stata disposta verbalmente o se il contratto è stato redatto come scrittura privata non autenticata. L’eventuale conclusione del contratto di locazione deve essere comunicata all’amministrazione finanziaria, rispettando le regole previste dall’articolo 17 del Tuir.
Le disposizioni della Corte di Cassazione
Registrare l’accordo attraverso il quale si chiude un contratto di locazione, sostanzialmente, costituisce un obbligo fiscale. Nel caso in cui non lo si facesse, il contribuente è tenuto a continuare a pagare le relative tasse. La formalità è necessaria ed indispensabile per poter far riferimento alla presunta data nella quale il contratto è stato chiuso definitivamente.
La Ctr, secondo la Corte di Cassazione, non avrebbe applicato correttamente i principi che abbiamo visto in precedenza, ritenendo non tassabili i canoni di locazione per il 2009, soltanto perché non percepiti. I giudici della suprema corte ritengono che concorrano alla formazione del reddito per il 2009, proprio perché manca una formale risoluzione del contratto.
In sintesi
I canoni di locazione non percepiti, perché l’inquilino è moroso, devono essere presi in considerazione per la determinazione del reddito. Perché ne vengano esclusi è necessario un atto del tribunale, attraverso il quale sia stato notificato lo sfratto. O deve essere registrata la chiusura del contratto stesso.
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