Una maxi frode ai danni dello Stato, del valore di quasi 14 milioni di euro, è stata scoperta dalla guardia di finanza di Como a partire da una verifica su un capannone di Cinisello Balsamo (Milano), affittato sulla carta a una neonata azienda nel settore della telefonia, intestata (si è poi scoperto) a un prestanome. I successivi approfondimenti hanno portato a misure cautelari per 19 persone, disposte dal gip di Monza, a carico di una presunta associazione a delinquere, con 7 persone in carcere, altrettante ai domiciliari e 5 sottoposte all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. I reati di cui rispondono sono la truffa aggravata, il riciclaggio e l’autoriciclaggio, con l’aggravante transnazionale e l’associazione a delinquere.
La maxi frode e le società coinvolte
Le indagini sono partite nel 2023 e nel mirino della finanza sono finite alcune operazioni finanziarie ritenute sospette dietro cui c’erano gli amministratori di una società monzese, già coinvolti in procedimenti penali per condotte fallimentari e truffaldine. Al vertice del presunto sodalizio un imprenditore originario di Lecco, già noto alle forze dell’ordine per precedenti specifici. Il capo dell’organizzazione ora indagato è finito in carcere insieme ad altre cinque persone residenti tra Lecco, Milano, Brescia e Busto Arsizio. Ai domiciliari invece – dove è finita anche una donna indagata – soggetti bresciani ma anche milanesi e brianzoli tra cui persone residenti a Bernareggio e Briosco. Brianzolo, di Agrate Brianza, anche uno dei soggetti raggiunti dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Il sodalizio criminale è ora accusato di reati fallimentari, frodi fiscali e truffe. La base, da cui sono partire le indagini, era in un capannone di Cinisello Balsamo affittato sulla carta a una azienda neo costituita attiva nel settore della telefonia e intestata ad un prestanome. Gli appostamenti effettuati nella struttura hanno permesso ai finanzieri di identificare diversi soggetti e ricostruirne le reti di relazioni e di affari, individuando così alcune società su cui si sono poi concentrate le indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria di Como.
Lo schema della truffa: come funzionava
Lo schema messo in piedi era sempre lo stesso. Il sodalizio cercava società attraverso inoltrare una richiesta e ottenere dagli Istituti di credito finanziamenti garantiti dallo Stato attraverso il Fondo di garanzia gestito da Mediocredito Centrale S.p.A. E la scelta ricadeva quasi sempre su realtà legate alla commercializzazione di carta e cartone, da qui il nome dell’inchiesta “Casa di carta”. E la carta era anche il modo con cui i sodali, in codice, indicavano la necessità di emettere false fatture. Le società dovevano essere giovani, venivano privilegiate quelle costituite da qualche anno che non avessero subito dei controlli dal fisco. Aziende attive prevalentemente nei settori del commercio all’ingrosso di polimeri, carta, cartone e delle apparecchiature informatiche con sedi fittizie in Milano, Brescia, Bologna e Venezia. Si partiva con l’acquisto delle quote attraverso prestanomi di fiducia, in modo da passare sotto il controllo del sodalizio. Lo step successivo invece riguardava la falsificazione dei bilanci. Grazie all’apporto di un professionista compiacente che alterava i dati contabili e di bilancio facendo figurare una falsa ricapitalizzazione mediante aumenti del capitale sociale del tutto inventati, l’azienda appariva solida e in grado di restituire il finanziamento che sarebbe stato chiesto alle banche.
Dopo questo maquillage contabile, la società di turno era pronta per presentare la domanda di finanziamento garantito, nella misura dell’80%, all’Istituto di Credito prescelto, con la complicità di un’agenzia finanziaria che lavorava nella città di Brescia in regime monomandatario e che si occupava di istruire la pratica in modo da agevolare la successiva istruttoria della Banca incassando, per questa intermediazione illecita, una percentuale sugli importi erogati.
Finti operai e targhette: il “cinema” messo in piedi per le ispezioni
Per approvare la pratica spesso l’Istituto di credito, oltre agli adempimenti burocratici, poteva decidere di inviare presso le sedi aziendali propri funzionari per effettuare anche sopralluoghi e ispezioni. Ed era a questo punto che il sodalizio criminale metteva in scena “il cinema”, come lo chiamavano il capo dell’organizzazione e il braccio destro.
“Se tu vuoi anche qualcuno lì a fare un po’ di cinema, basta che c’è un po’ di movimento” si legge nelle carte dell’inchiesta. Organizzavano vere e proprie messe in scena: tinteggiavano il cancello del capannone affittato per l’occasione, ci mettevano anche una targa con il nome, allestivano i locali con macchinari e arruolavano falsi operai da presentare come dipendenti dell’azienda. E quando il prestito arrivava i soldi finivano sui conti correnti delle società in mano al sodalizio. Ma poi sparivano subito.
L’inchiesta ha portato alla luce una maxi frode ai danni dello Stato del valore di 13,8 milioni di euro ma nel corso delle indagini, iniziate nel 2023, sono stati 18 i milioni di euro di finanziamenti che sono stati bloccati e impediti.
Auto di lusso e Rolex: i soldi arrivavano poi sparivano
Quando l’istruttoria veniva completata e il finanziamento erogato, il prestito veniva accreditandola sui conti correnti delle società in mano al sodalizio. Una piccola parte veniva impiegata per pagare i costi “fissi” come le rate di precedenti finanziamenti erogati ad altre società fantoccio che bisognava onorare per non far saltare troppo prima del tempo le truffe in corso, mentre la maggior parte era spesa per esigenze personali. Il sodalizio acquistava autovetture di grossa cilindrata e camper o drenava le somme con modalità diverse, attraverso “spalloni” o bonificato sui conti correnti intestati ai sodali o ai loro prestanomi, a società italiane (prevalentemente ditte cinesi ma con conti in Danimarca, Belgio e Germania riconducibili agli associati) ed estere (ubicate in Repubblica Ceca) oppure ancora tramite il pagamento di operazioni commerciali simulate, coperte da false fatture.
Compravano Bmw, Mercedes, in un caso anche un camper ma anche Rolex del valore di decine e decine di migliaia di euro. Svuotando i conti correnti sociali, capitava che non ci fosse liquidità sufficiente per pagare alla Banca neppure le prime rate del prestito. Così, per prendere tempo e ottenere una moratoria sui pagamenti, il capo del sodalizio istruiva i suoi prestanome in vista del colloquio con i funzionari bancari, simulando situazioni di difficoltà finanziaria. In un caso, prima di entrare in Banca, il capo ha dettato alla sua testa di legno la linea da tenere con l’impiegato, al quale sarebbe stato raccontato che i mancati pagamenti delle rate erano da addebitarsi a inadempienze dei fornitori dovute ai disagi creati dall’alluvione nel modenese del 2023.
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