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Il nuovo “Green deal”, sempre meno verde #finsubito prestito immediato


Il 17 settembre scorso la presidente von der Leyen ha presentato la nuova squadra di commissari che la accompagneranno sino al 2028 quindi sostanzialmente alle porte e oltre il 2030, considerando che sarà questa Commissione a varare con il Parlamento europeo neoletto il bilancio pluriennale sino al 2034.

La prosecuzione o meno della strategia per la transizione verde, con l’obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 – il cosiddetto “Green Deal” – è stata il tema centrale della campagna elettorale delle più recenti elezioni del Parlamento europeo e ha rappresentato l’elemento maggiormente divisivo sia tra le forze politiche e i loro programmi elettorali. Nondimeno pone il più grande interrogativo sull’operato della nuova squadra. In altre parole, sarà ancora il “Green Deal” a dettare il ritmo delle politiche europee oppure no?

Prudenza

La maggiore prudenza nel dare attuazione ad alcune delle più controverse misure del “Green Deal”, come lo stop alla immatricolazione di auto a motore “termico” e all’acquisto delle abitazioni a bassa qualità energetica, dimostrata da Ursula von der Leyen negli ultimi mesi del suo primo mandato, unitamente all’arretramento in termini di seggi dei partiti ambientalisti nella recente tornata elettorale (dal 10% dei seggi del precedente Parlamento europeo al 7,1% dei seggi nell’attuale) potevano inizialmente far pensare a una significativa rivisitazione se non l’abbandono dell’ambizioso piano messo al centro della precedente agenda europea.

Questa esplicita conferma ha deluso chi sperava in un suo abbandono e ha fatto gridare vittoria ai partiti ambientalisti chiamati a sostenere la rielezione della presidente della Commissione europea. A conferma di questa lettura, il voto contrario delle forze politiche conservatrici italiane che avevano chiesto, per contro una significativa rivisitazione della strategia per la transizione ecologica.

Questo convincimento si dimostra tuttavia superficiale perché non tiene conto di due elementi: da un lato l’inerzia della programmazione europea di lungo termine, dall’altro il nuovo approccio al “Green Deal” che la stessa von der Leyen ha proposto nel suo discorso e nelle relative linee guida politiche.

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L’Inerzia non deve essere percepita come un elemento che ostacola il processo di integrazione europea, ma piuttosto come la capacità di mantenere ferma la barra anche in condizioni di turbolenza e l’avvento di crisi inattese. Sin dal Trattato di Maastricht del 1992 sono stati introdotti gli obiettivi della politica dell’Ue in campo ambientale, definiti prioritari per ottenere “un elevato livello di tutela”. Tra questi la salvaguardia, la difesa e il miglioramento del l’ambiente, la protezione della salute umana, l’utilizzo moderato e razionale delle risorse naturali e la promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi ambientali regionali e mondiali. Le recenti crisi non hanno messo in discussione questa visione ma addirittura ne hanno sostenuto un rinnovato sviluppo.

Priorità

Alcune suggestioni ora in merito a quello che può essere definito “il nuovo approccio” al “Green Deal” anticipato dalla von der Leyen. La grande novità è che quest’ultimo, rappresentava nella precedente agenda il primo di sei priorità, mentre ora non è annoverato tra le priorità giocando piuttosto un ruolo “trasversale”. Nel suo discorso del 18 luglio scorso, la presidente della Commissione spera ora di perseguire i target del “Green Deal” «con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione», esplicitamente prendendo le distanze dalle ideologie e demagogie ambientaliste, dall’ecologia profonda e da tutti i vessilli spesso innalzati dagli esponenti dei partiti cosiddetti “verdi”.

Il punto di partenza, dunque, diventa un nuovo accordo industriale pulito – da definirsi nei primi cento giorni – «che indirizzerà gli investimenti nell’infrastruttura e nell’industria, in particolare per i settori ad alta intensità energetica […] Dobbiamo essere più veloci e semplici». Queste le parole della von der Leyen.

Le “Linee Guida” invocano inoltre, la massima attenzione al «sostegno e alla creazione delle giuste condizioni per le imprese, affinché siano in grado di conseguire gli obiettivi comuni operando di concerto con l’industria, le parti sociali e tutti i portatori di interessi».

Pragmatismo in tema di politica industriale ma anche agricola dove, sempre la von der Leyen vuole mettere al tavolo «gli agricoltori, i gruppi ambientalisti e degli esperti di tutta la catena alimentare».

Se l’Unione europea prima mirava a rendere le politiche industriali “climate friendly”, d’ora in avanti la logica sarà sempre più orientata a fare in modo che le politiche ambientali siano “business friendly”. Un cambio di paradigma non da poco.

Questo nuovo approccio trova riscontro nelle deleghe ai commissari chiamati ad attuarlo. Le deleghe cosiddette “green” – ambiente & economia circolare, clima & impatto zero – sono state attribuite rispettivamente alla Roswall, conservatrice liberale svedese e a Hoekstra, cristiano democratico olandese. Entrambi certamente non dei sostenitori delle ideologie ambientaliste. Il secondo ha un passato addirittura in una azienda petrolifera.

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Lanciata dunque la sfida per assicurare una crescita economica sostenibile e rispettosa dell’ambiente, in un contesto di scarsità di materie prime e terre rare e di turbolenze internazionali, che impone una Europa ad una sola voce e dunque più forte. Questa la speranza del nuovo “Green Deal”.



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