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Permesso di costruire: quando si può annullare e perché #finsubito prestito immediato


Permesso di costruire, il Comune deve giustificare la decisione di annullamento

Un qualsiasi permesso di costruire approvato da un’amministrazione pubblica – anche attraverso l’assenso-silenzio – può essere annullato solo adducendo delle motivazioni articolate. Non è sufficiente giustificare la decisione adducendo ragioni di interesse pubblico, alle stesse si deve allegare una giustificazione valida ed articolata, che tenga conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati a seguito del legittimo affidamento maturato.

A giustificare la decisione di annullare un permesso di costruire non è sufficiente apportare la generale necessità di contrastare il fenomeno dell’abusivismo edilizio. Il Comune ha l’obbligo di giustificare la decisione presa in autotutela: non è possibile annullare un permesso di costruire – ed ogni altro titolo edilizio – sul semplice presupposto dell’esistenza di un interesse pubblico, che non venga argomentato in maniera adeguata.

Permesso di costruire annullato in autotutela, i doveri del Comune

A fornire alcuni chiarimenti su come debba muoversi l’amministrazione pubblica in caso di annullamento di un permesso di costruire ci ha pensato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7370 del 3 settembre 2024, attraverso la quale ha rigettato un ricorso presentato da un Comune. Quest’ultimo chiedeva la riforma della sentenza del TAR che aveva ritenuto illegittimo l’annullamento in autotutela del permesso di costruire rilasciato per dei lavori di demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato ad uso abitativo, che sarebbe anche stato ampliato.

Permesso di costruire annullato in autotutela, i doveri del ComunePermesso di costruire annullato in autotutela, i doveri del Comune

Nel caso preso in esame, il proprietario dell’immobile in un primo momento aveva presentato una proposta progettuale per ottenere il rilascio del permesso di costruire nel 2017. L’anno seguente aveva inoltrato una nuova richiesta – con la quale sostituiva e modificava la precedente – del progetto già presentato sempre per gli stessi lavori.

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Ritenendo che il procedimento non fosse stato presentato rispettando le disposizioni previste nell’articolo 20 del Dpr n. 380/2001 – ossia il testo Unico Edilizia – il Comune ha inviato, in un primo momento, al proprietario una nota nella quale elencava i motivi per i quali non poteva accogliere la richiesta. In un secondo momento il Comune ha emesso il provvedimento di diniego al rilascio del permesso di costruire.

Il lasso di tempo che l’amministrazione aveva lasciato passare per fornire la risposta aveva fatto sì che si concretizzasse il silenzio assenso. A questo punto una prima sentenza ha decretato l’illegittimità del diniego del Comune. Quest’ultimo ha quindi deciso di esercitare il potere dell’autotutela sul titolo, tralasciando, però, di precisare quale fosse l’interesse collettivo da tutelare: omissione che ha determinato un nuovo annullamento dell’atto amministrativo da parte del Tar.

A questo punto è entrato in gioco il Consiglio di Stato che ha confermato che l’operato del Comune fosse illegittimo e ingiustificato. I giudici di Palazzo Spada fanno presente, nella sentenza, che quanto previsto nell’articolo 21-nonies della Legge n. 241/1990 – relativo alle Norme in materia di procedimento amministrativo – deve essere applicato anche in materia edilizia: le regole devono essere applicate, quindi, ai titoli edilizi approvati con il meccanismo del silenzio-assenso previsti al comma 8 dell’articolo 20 del Tue che abbiamo citato in precedenza.

Quali sono i presupposti dell’autotutela

In base a precisi termini, l’amministrazione pubblica ha il potere di procedere con l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire.

Ma è pur sempre vero che lo stesso potere è strettamente connesso con l’obbligo di dimostrare tre diversi presupposti:

  • il primo si riferisce all’illegittimità del titolo da annullare, per il quale il Comune non ha alcun potere discrezionale;
  • il secondo ed il terzo – che si riferiscono alla ragionevolezza delle tempistiche entro le quali si esercita il potere e al rapporto tra l’interesse della collettività a rimuovere l’abuso e l’interesse del privato mantenere il legittimo affidamento maturato – per i quali l’amministrazione comunale deve necessariamente effettuare una valutazione discrezionale.

Nel caso preso in esame, soffermandosi sul rapporto che intercorre tra l’interesse pubblico e quello del privato, i giudici chiariscono esplicitamente che la valutazione deve mirata:

“alla ricerca del giusto equilibrio tra il ripristino della legalità violata e la conservazione dell’assetto regolativo impresso dal provvedimento viziato”.

Appellarsi ad una generale esigenza di contrasto all’abusivismo non esonera in maniera automatica dalle proprie responsabilità l’amministrazione pubblica. Ma soprattutto non la esenta dall’obbligo di motivare l’annullamento di un permesso di costruire: non è, infatti, possibile giustificare questa scelta sulla base di un interesse pubblico generale che non sia stato specificato in maniera adeguata.

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